[...] Indossava un kimono fumante e impugnava una lunga spada a lama dritta
dall’elsa finemente lavorata con il pomo a forma di testa di drago. Sembrava
alquanto spaesato e cercava di spegnere i lembi ancora in fiamme del kimono con
frenetici colpi della mano libera.
«Le sta andando a fuoco il vestito…» gli fece notare Antonio con solerte
partecipazione.
«Lo so, lo so!» esclamò l’orientale arrestandosi davanti a noi che,
immagino, dovevamo costituire un ben strano assortimento umano per lui. «Porca
miseria… ma dove mi trovo?»
«E questo da dove spunta?» domandò mia madre recuperando un coltello
dal ripiano della cucina e stringendoselo al petto.
«Basta chiedere» rispose Antonio ostentando la calma che derivava da
un’ottusità che scoprivo ogni minuto più consistente. Veniva da chiedersi come
avesse fatto a leggere quel Farkenberger e cosa ci avesse realmente capito.
«Scusi, lei chi è?» domandò poi con lo stesso tono con cui un turista
londinese potrebbe chiedere informazioni su Pompei.
«Eh?» rispose l’orientale.
«È il principe Okuninushi!» esclamai io con una certa insofferenza.
Ormai avevo capito il meccanismo e ero perfettamente in grado di riconoscere i
personaggi che avevo programmato.
«Proprio così» disse lui guardandomi meravigliato.
«Proprio così» ripeté lui, guardandomi ancor più stranito.
«Perché i fratelli lo vogliono uccidere?» domandò mamma tra
l’interessato e il preoccupato.
«Beh è una storia un po’ complicata…» cominciò a rispondere.
«Comunque sostanzialmente erano tutti pretendenti alla mano della
bella principessa Yakami di Inaba, solo che mentre i fratelli si comportarono
male con una lepre incontrata lungo la strada, lui fu generoso e la lepre
raccontò tutto alla principessa, che scelse lui suscitando l’ira dei fratelli»
spiegai in modo conciso per ridurre al minimo quella conversazione, «e il
motivo per cui è mezzo abbrustolito è che hanno tentato di ucciderlo facendogli
rotolare addosso un masso infuocato a forma di cinghiale!»
«Esatto anche questo!» Esclamò ormai incredulo il giapponese spegnendo
l’ultimo lembo del kimono, «ma si può sapere com’è che sai tutte queste cose?»
Prima che potessi rispondere alla sua peraltro comprensibile domanda,
dal balcone della cucina arrivarono altri quattro orientali dall’aria truce e
le spade sguainate.
«Eccolo lì!» ulularono all’unisono mettendosi in guardia e
preparandosi all’attacco.
«Porc… mi hanno trovato!» sbuffò Okuninushi estraendo a sua volta la
spada.
«Ma che succede?!» strillò mia madre mentre i quattro aggressori si
scagliavano contro il principe.
«Poffare! Quattro contro uno, non è cavalleresco…» commentò Astolfo
buttandosi anche lui nella mischia e trafiggendone subito uno alle spalle, alla
faccia di qualsiasi considerazione sulla cavalleria.
Ora, permettetemi una breve divagazione.
Io sono un appassionato di mitologia, le leggende cavalleresche mi
fanno impazzire e adoro i duelli. Adoro immaginarli o vederli al cinema… per
esempio. Vederli nella cucina della propria abitazione però, credetemi, non è
la stessa cosa, a cominciare dal rumore raccapricciante che produsse lo spadone
di Astolfo infilandosi tra le scapole del suo avversario, continuando col
rumore ancor più agghiacciante della lama che veniva estratta sfregando contro
qualcosa (presumo le costole), per finire in bellezza con lo spruzzo di sangue
degno del miglior Tarantino che irrorò generosamente pavimento e pareti.
«Vedi mamma, è una lunga storia non priva di risvolti surreali…»
cercai di spiegare mentre il secondo aggressore veniva ucciso con un fulmineo
affondo da Okuninushi e piombava al suolo sopra all’altro cadavere.
«Come certo saprai stavo lavorando a un nuovo videogioco…»
«Ahhhgggggh!» urlò il terzo sicario, trafitto contemporaneamente sia
da Astolfo che dal principe e prima ancora che il suo corpo toccasse terra
anche il quarto andò a fargli compagnia, gorgogliando un’imprecazione soffocata
da un copioso fiotto di sangue.
A questo punto, quando anche l’ultimo cadavere si fu abbattuto sul
pavimento della cucina, mia madre ritenne di averne avuto abbastanza e svenne
senza emettere alcun suono.
«Grazie per l’aiuto» disse il principe al paladino mentre entrambi
pulivano le rispettive lame sul kimono di una delle vittime.
«Di nulla messere, anzi, per me è stato un onore combattere al fianco
di un ‘sì nobile e valoroso cavaliere».
«Posso sapere il vostro nome?» domandò Okuninushi.
«Lo nome mio è Astolfo, e sono un paladino di Re Carlo» rispose questi
gonfiando il petto orgogliosamente.
«Onorato davvero, e loro sono vostri amici?» chiese ancora l’orientale
accennando a noi col capo.
«Non propriamente…» precisò il paladino.
«Io sono Orienne la fata!» cinguettò la bella fanciulla che
evidentemente doveva essere più avvezza di noi a veder sbudellare la gente,
perché non appariva per niente turbata. «Costui è un potente cavaliere-mago…»
aggiunse, bontà sua, indicando me «mentre quest’altro messere è…» e qui si
blocco perché non sapeva bene che ruolo avesse Antonio e ritenne giusto dargli
modo di qualificarsi da solo. Antonio però si limitò a emettere uno strano
fruscio con la bocca, mentre cercava di inalare un po’ d’aria, con lo sguardo
inorridito fisso sui cadaveri.
Okuninushi restò un attimo in attesa, poi decise di tagliar corto
sulle presentazioni, venendo al punto cruciale: «Beh, che dire signori, è stato
un piacere fare la vostra conoscenza, ma come dice il saggio Tzumanaki anche la tela più bella va fissata al muro…
né troppo in basso né troppo in alto, possibilmente».
Ci guardammo un po’ tutti perplessi.
«E che vuol dire?»
«Che nonostante la piacevole compagnia, devo proprio andare, è
imperativo ch’io torni al più presto a Inaba».