domenica 26 ottobre 2014

ASTOLFO - (estratto da VideoGame)

[...] 
«Quindi immagino lei sia il prode… Astolfo?» Domandò Antonio dimostrando di aver letto l’Ariosto.
«In persona…» rispose il cavaliere manifestando un certo compiacimento per essere stato riconosciuto. «Vedo che le mie gesta sono note anche tra i villici…»
«Villico lo dici a tua sorella…» mugugnai tra i denti. Poi, più interessato a considerazioni di ordine pratico, ingoiai l’orgoglio e gli sorrisi: «Saprebbe per caso dirci come è finito qui?»
Il prode si grattò la testa con aria pensierosa facendo vagare intorno a sé uno sguardo a dire il vero non troppo intelligente. «Di preciso non saprei… ero sulle tracce di Orlando, per rendergli finalmente il senno, quando una strana coltre di nebbia ci avvolse facendoci perdere l’orientamento, giungemmo alfine qui, in codesto desolato maniero, dove la bestia mi colpì facendomi perdere i sensi… altro non so».
Antonio e io assumemmo un’espressione delusa che evidentemente non gli sfuggì, perché dopo un istante aggiunse: «cosa vi angustia dunque, buonomini?»
«Ecco vede… il punto è che, lei avrà certo capito di non trovarsi esattamente nella collocazione spaziotemporale che dovrebbe competerle, vero?» esordì Antonio.
«Eh?» fece Astolfo aggrottando ulteriormente le cespugliose sopracciglia.
«Lei non sta dove dovrebbe stare» spiegai con termini a lui più facilmente comprensibili.
«Ahhhh!» fu la sua risposta, «m’era parso che fosse successo qualcosa di strano! Ma sono sicuro che trattasi di vile marchingegno del truce Atlante».
«Non so chi sia questo Atlante di cui parlate, ma l’evocazione che vi ha portato qui è stata opera di questo messere che è anche un potente negromante!» trillò Orienne guardandomi con ammirazione.
«Potente negromante…» farfugliai imbarazzato, «diciamo che me la cavo».
«Quello che voleva dire il potente negromante» rettificò prontamente Antonio gratificandomi di un’occhiataccia, «è che lui voleva evocare solo le vostre immagini e, per un malaugurato errore, ha invece portato a sé anche i corpi».
«Trattossi invero di un grave errore!» esclamò Astolfo guardandomi con aria truce, «anche se, bisogna convenire che dietro le spoglie di un misero bifolco, costui cela una rara potenza».
«Prima villico e poi bifolco… io a questo gli faccio ingoiare l’ampolla…» sussurrai ad Antonio mentre la consueta cortina rossa cominciava a velarmi lo sguardo.
«Stai calmo» rispose il mio amico stringendomi una spalla per riportarmi in me. Il solo tocco, di norma, sarebbe servito a poco, ma la stretta stritolante produsse un insolito effetto calmante.
«Adesso dobbiamo trovare un modo per rimandarvi tutti indietro» continuò Antonio sorridendo ad Astolfo, «solo che, ehm… per ora non sappiamo bene come, quindi se lei che è avvezzo alla magia avesse qualche consiglio…»
«Un sistema ci sarebbe…» mormorò Astolfo grattandosi il mento pensieroso.
«Ohhhh!» esclamammo all’unisono Antonio e io, visibilmente sollevati. «Molto bene, così risolviamo questa cosa in quattro e quattr’otto, prima che qualcuno si faccia male…» dissi sfregandomi le mani.
«Eh beh, un po’ male farà…» bofonchiò il paladino raccogliendo la propria spada da terra.
«Ehm che cosa?» domandai cominciando a preoccuparmi.
«Per interrompere il sortilegio è necessario decapitare il negromante, mi pare ovvio!» spiegò Astolfo.
«Nossignore, nossignore!» urlai scuotendo l’indice per rafforzare il mio dissenso. «Questo tipo di magia non viene annullato con la morte del mago, vero Antonio?»
Antonio confermò rincarando: «Anzi… c’è il rischio che una volta morto il suo incantesimo diventi permanente, meglio lasciarlo vivo».
«Mfh!» mugugnò il paladino deluso, rinfoderando goffamente lo spadone. «Comunque sarà bene che codesto incantesimo venga infranto, in un modo o nell’altro, e senza indugio alcuno, perché Orlando è atteso sul luogo della pugna! Il destino dell’occidente dipende da lui, o l’incubo moresco si abbatterà sul Sacro Romano Impero! E ora fatemi strada, è d’uopo ch’io affronti la bestia che mi ha colpito così duramente».
«Se si riferisce all’essere fiammeggiante che ha distrutto la mia scrivania, è fuggito dalla finestra, temo che ormai sia lontano» dissi.
«Non conosco esseri fiammeggianti, anche se ho sentito favoleggiare di simili creature che si dice vivano nel lontano Catai…» rispose Astolfo, «l’animale a cui mi riferisco è sempre lui, il prode Orlando, che da quando ha perso il senno è diventato pazzo furioso e tale resterà, per l’appunto, finché non gli avrò restituito questo!» e agitò l’ampolla.
«Aha!» facemmo Antonio e io all’unisono.
«Poffare! E c’ero quasi riuscito…» si lamentò il paladino, «quando l’ho finalmente trovato, in questa decadente magione, ho tentato di fargli inalare il senno, ma lui, ebbro di follia, non ha riconosciuto il sembiante amico e mi ha duramente colpito ammaccandomi l’usbergo lucente».
Antonio, Orienne e io guardammo con aria critica la sua armatura rugginosa.
«Beh si fa per dire…» bofonchiò lui seguendo il nostro sguardo, «un tempo lo fu, ma poi… le campagne sono umide, specialmente di notte, si dorme all’addiaccio, senza un tetto… per non parlare del clima che c’è sulla luna…»
«Non si deve certo giustificare» lo rabbonì Antonio. «Certo che questo Orlando dev’essere davvero temibile con lo spadone tra le mani».
«Invero lo è» assentì Astolfo, «altrimenti non sarebbe il più prode dei paladini, ma per fortuna quando l’ho incontrato era disarmato, ecco perché sono ancora vivo».
«Come disarmato?!» esclamai «e allora tutte quelle ammaccature come gliele ha fatte?»
«Con i pugni, naturalmente» rispose il paladino dando la cosa per scontata.
Dovetti sedermi perché le gambe non mi reggevano più.
«Oh cavolo! Adesso tra tutte le cose che vagano per il mio parco c’è anche un Orlando Furioso che sfonda le armature a cazzottoni!»
«Ed è molto aggressivo?» domandò cautamente Antonio.
«Beh, di norma egli aggredisce chiunque abbia l’ardire e la sfortuna di incrociare il suo sguardo… ma la vera iattura è che, folle d’amor perduto, nella disperata ricerca della bella Angelica, tende ad amare brutalmente ogni donna che incontra» spiegò Astolfo.
«Ma… amare in che senso?» domandai atterrito.
«Nel senso che tra qualche mese le ridenti campagne francesi e spagnole pulluleranno di piccoli Orlandini e…».
Ma prima che il paladino potesse finire la frase, dalla cucina giunse, inatteso e prorompente, l’urlo terrorizzato di mia madre.
«Non voglio che mia madre partorisca un Orlandino furioso!» urlai.
«Poffare, sarà mia cura impedirlo!» barrì il paladino estraendo il proprio spadone col consueto sferragliare.
«Antonio passami quel martello!» gridai indicando l’utensile con cui, solo qualche ora prima, mia madre aveva minacciato di spaccare la testa del vicino di casa. Non era granché come arma, soprattutto se si considera contro chi avrei dovuto usarlo, ma non avevo altro e mia madre era in pericolo, non potevo certo tirami indietro. Così ci scaraventammo tutti in cucina.  [...]

Nessun commento:

Posta un commento